Il ritorno della mandorla nel Salento

Girovagando per le campagne del Salento, non è raro incontrare alberi di mandorlo, diffusi a macchia di leopardo, alcuni anche di considerevole età. “Si veggono tanti ulivi e tante mandorle piantate con tal’ordine, che è cosa meravigliosa da considerare, come sia stato possibile a essere piantati così tanti alberi da li huomeni”, così scriveva nel XVI sec. Leandro Alberti, come riporta Francesco Minonne nel suo “Varietà frutticole tradizionali del Salento”. I mandorli disseminati nelle nostre campagne, testimoniano un’economia agricola in cui questo prezioso seme oleoso veniva prodotto perlopiù per il consumo familiare, come ingrediente base di famosi dolci tradizionali ed eccellente scorta di proteine e minerali. La mandorlicoltura industriale è stata da sempre perlopiù diffusa nel barese, nel brindisino, nel tarantino e nel foggiano, mentre la provincia di Lecce ha storicamente investito poco in questa industria, preferendole la coltura dell’olivo e della vite.

Oggi, che il paesaggio agrario salentino è in forte mutamento e la monocoltura dell’olivo ha mostrato tutti i suoi limiti, tre amici hanno deciso di mettere insieme le forze per recuperare un vecchio mandorleto abbandonato. «Abbiamo deciso di recuperare questi mandorli per cominciare a diversificare le nostre produzioni e, soprattutto, recuperare la biodiversità perduta» racconta Jolanda De Nola dell’Azienda agricola Tenuta Bianco, «nel corso degli ultimi 50 anni la nostra biodiversità è stata completamente persa, anche a causa della Politica Agricola Comunitaria che assegnava delle somme in base al numero di alberi di olivo che venivano impiantati. In questo modo è stato favorito l’espianto di altre colture: vigneti, mandorleti, ficheti, sono totalmente scomparsi dal nostro paesaggio. Non vogliamo più ripetere gli errori che ci hanno portato al disastro della Xylella».

Con questo spirito Jolanda, Fabio Colaci di Staiterraterra e Marta Cesi di Dei Agre, qualche mese fa hanno deciso di condividere una nuova sfida, partendo dalla constatazione che la frutta nel Salento è quasi del tutto assente, proprio a causa di quella monocoltura che nei secoli ha soppiantato ogni forma di diversità. «Ci si è presentata l’occasione di recuperare queste 250 piante del tutto abbandonate, di un amico che le aveva piantate 30 anni fa ma non è più riuscito a portarle avanti – continua Jolanda – e grazie anche al corso di potatura di alberi da frutto che abbiamo organizzato, ci siamo formati e così è stato più semplice progettarne la gestione».

Le varietà sono Genco e Tuono, entrambe caratterizzate da una buona rusticità e da una elevata attrattività per le api. Tant’è che è stata avviata una collaborazione con Apicoltura Santa Rita per la produzione di miele di mandorlo.

Il ciclo produttivo è interamente manuale: dalla potatura alla raccolta. Racconta Jolanda: «Per prima cosa abbiamo concimato con della pollina, trinciato e pacciamato, poi a fine agosto abbiamo raccolto le mandorle, abbiamo tolto il mallo e le abbiamo poste su dei telai per qualche giorno ad essiccare al sole. Abbiamo trovato un’azienda nel brindisino con un piccolo sgusciatore e, una volta fatta una seconda pulizia manuale per eliminare residui di guscio e impurità, le nostre mandorle erano finalmente pronte, mandorle 100% locali». Oggi la stragrande maggioranza di mandorle che troviamo in commercio viene dalla Turchia e dalla California, dove le monocolture di questo prodotto stanno causando seri danni alle api e veri disastri ambientali a causa dell’uso massiccio di fitofarmaci (solo nel 2019 sono morte più di 50 milioni di api impiegate nell'impollinazione dei mandorli in Californi, a causa dei pestici).

Le mandorle salentine da agricoltura organica di Tenuta Bianco, Staiterraterra e Dei Agre, diventano così il prodotto simbolo di un riscatto possibile, e di un futuro tutto da costruire, nel segno della cooperazione, della biodiversità e della sostenibilità.

 

Francesca Casaluci