Dai semi al cibo - PARTE III - Il lavoro e il mercato

 LA TERRA -  PARTE II

 

 IL LAVORO E IL MERCATO

Osservando le case e la struttura dei centri storici del Salento, essi sicuramente ci diranno un sacco di cose. La pianta circolare cinta da mura, intervallata da porte di accesso poste in direzione dei paesi limitrofi, contiene piccole e numerose abitazioni inanellate lungo reticoli di strade, che si raggrumano attorno a un sistema a corti chiuse. Dentro queste corti è sempre presente almeno un pozzo, da cui chiunque poteva attingere liberamente. Un numero incredibile di frantoi, piccoli palmenti famigliari, forni, granai, botteghe, indicano chiaramente quale genere di economia si praticasse: un’economia di prossimità, in cui i membri della comunità svolgevano un lavoro utile e necessario. Tutti i bisogni venivano soddisfatti all’interno della comunità, per cui quasi chiunque imparasse un mestiere, poteva assicurarsi una modesta sussistenza.

La definitiva affermazione dell’economia neoliberista ha portato alla lenta e graduale rottura di questo equilibrio circolare, producendo una serie di problemi che, nel settore dell’agricoltura, lasciano oggi ferite aperte che sembrano non trovare cura.

Vandana Shiva ci ricorda che

“L’economia industriale chiama crescita quella che in realtà è una forma di furto ai danni della biodiversità, delle risorse naturali, dei poveri. Chiama crescita quello che in realtà è creazione di scarsità[1]”.

Questa logica oggi soggiace in tutte le fasi della filiera produttiva.

Chi produce il nostro cibo? A che prezzo lo paghiamo? Spesso è quasi impossibile rispondere a queste domande: se ci addentriamo in un supermercato, scopriamo quanto sia difficile risalire a tali informazioni attraverso ciò che leggiamo sull’etichetta. La maggior parte del cibo è prodotta lontano dal luogo in cui è venduta e acquistata, con modalità che non è dato conoscere, da aziende che fanno capo ad un ristretto numero di multinazionali. Una filiera poco trasparente, da cui è difficile trarre informazioni.

Lo scarso interesse verso le modalità di produzione dei nostri alimenti, favorisce le nostre cattive scelte. Ad esempio, quanti tra coloro che consumano quotidianamente olio, conoscono i suoi processi produttivi, quanti chilogrammi di olive e di giornate lavorative occorrono per un litro di olio, quali sono le cure e i fattori di rischio, quanto costa la manodopera e la frangitura, quali sono le difficoltà dell’agricoltore? Probabilmente, una maggiore attenzione al cibo che ingeriamo ogni giorno, ci aiuterebbe anche a valutare meglio il prezzo finale di quel prodotto.

E' indubbio che spesso il primo criterio di scelta di un prodotto si basa sicuramente sul prezzo, ma una scatola di pomodoro prodotta con lo sfruttamento dei lavoratori nelle campagne, con l’utilizzo di prodotti chimici e con un grande impatto sociale e ambientale, costerà sicuramente pochissimo. In quel prezzo tuttavia non sono compresi tutti i costi ambientali e sociali indiretti che la collettività sta comunque pagando, inclusi quelli che riguardano la salute.

La trasformazione dei modelli agricoli produttivi, partita con la cosiddetta Rivoluzione Verde, ha determinato una “progressiva conversione della produzione in senso intensivo e monocolturale, che richiede spesso grandi quantità di manodopera per brevi periodi”[2]. Uno dei problemi più scottanti che riguardano il lavoro agricolo oggi, è proprio lo sfruttamento della manodopera, perlopiù straniera, in condizioni di svantaggio e forte necessità. La Puglia fa parte di quelle regioni che storicamente hanno quasi istituzionalizzato questo sistema, tollerando l’esistenza di veri e propri ghetti.

Qual è dunque la “giusta remunerazione” per il produttore agricolo? Quali sono gli aspetti da valutare nella definizione del costo finale?

Se nel prezzo di un prodotto non vengono calcolate quelle che in economia sono definite “esternalità[3] negative”, lo stesso si può dire per le “esternalità positive”, ovvero per le ricadute benefiche che un’agricoltura naturale ed etica ha sulla collettività. Praticare agricoltura naturale, conservare la fertilità del suolo e la sua capacità di imprigionare anidride carbonica, tutelare la biodiversità vegetale e animale, ridurre al minimo il consumo idrico, mantenere la funzionalità degli ecosistemi, non utilizzare sostanze chimiche e inquinanti, conservare l’integrità e la bellezza del paesaggio, tutto ciò rende un beneficio di lungo termine a tutta la comunità e per più generazioni. La “giusta remunerazione” per un contadino–custode dell’ambiente rurale, dovrebbe prevedere anche queste funzioni importantissime, senza, allo stesso tempo, rendere i prodotti naturali poco accessibili a buona parte della popolazione. I concetti di equilibrio e di onestà diventano qui cruciali.

Siamo di fronte ad un cambiamento di prospettiva sul lavoro contadino e sul prodotto agricolo, che contempla la complessità dei fenomeni in gioco e che ribalta il ruolo dell’uomo al vertice della piramide ecologica, ponendolo all’interno di un circolo biotico, in rapporto di interdipendenza paritaria con gli altri esseri viventi.

La “giusta remunerazione” non può trovare spazio nel sistema di distribuzione della GDO[4] , che tende ad abbassare il prezzo del produttore per aumentare il profitto dei numerosi attori della filiera. L'alternativa per i piccoli produttori è la filiera corta, che non frappone lunghe catene di intermediari tra chi produce il cibo e chi lo acquista. Conoscere chi produce e come lo fa è il primo passo per la consapevolezza alimentare. Il cibo deve essere prodotto localmente e distribuito localmente. Se ciò non si verifica, mancano i presupposti per un vero controllo dei sistemi di produzione, per la responsabilizzazione del lavoro agricolo e per la costruzione di una filiera a misura d’uomo, che ritorni a includere i rapporti sociali come valore imprescindibile.

Negli ultimi tempi, nel Salento crescono la consapevolezza e la voglia di partecipazione, tanto che numerosi Gruppi di Acquisto Solidale si stanno diffondendo nei piccoli comuni così come in città. Per alcune aziende, il micro-mondo dei GAS rappresenta uno dei principali canali di vendita dei prodotti agricoli, una forma di scambio spontanea che mostra una strada alternativa e credibile.

Appare sempre più evidente, che i processi sociali realmente trasformativi partono dal basso, maturando dai veri bisogni della comunità, un po’ come avveniva per le economie di prossimità praticate fino a non molti decenni fa anche nei nostri paesi: una economia a misura d’uomo, che dà importanza al benessere degli individui piuttosto che alla crescita del capitale. La Rete di realtà agricole salentine, oggi, lavora caparbiamente per sviluppare modelli che rispondano a questi bisogni.

 

Continua PARTE IV

 

Francesca Casaluci

 

[1] Vandana Shiva, Vacche sacre e mucche pazze, Roma, DeriveApprodi 2001, p. 15

[2] Michela Potito, Roberta Borghesi, Genuino Clandestino, Firenze, Aam Terra Nuova, 2015, p. 176

[3] In economia una esternalità si manifesta quando l'attività di produzione o di consumo di un soggetto influenza, negativamente o positivamente, il benessere di un altro soggetto, senza che quest'ultimo riceva una compensazione (nel caso di impatto negativo) o paghi un prezzo (nel caso di impatto positivo) pari al costo o al beneficio sopportato/ricevuto.

[4] Grande Distribuzione Organizzata