Dai semi al cibo - PARTE II - La terra
LA TERRA
“L’uomo egoista che usa troppe risorse della natura per soddisfare i propri bisogni sempre crescenti, non è altro che un ladro, perché in tal modo utilizza risorse a cui altri hanno diritto”[1]
Il termine latino homo, uomo, ha la stessa radice di humus, terra. Per molte tradizioni religiose, l’uomo è nato dalla terra, Madre originaria, inizio di ogni cosa, ma anche termine, perchè da essa verrà infine inghiottito. Non a caso, le prime testimonianze religiose, riportano al culto della Dea Madre, nei suoi molteplici aspetti di morte e rigenerazione. La terra è l’elemento dal quale parte qualsiasi atto agricolo; essa rappresenta il centro, il fulcro di questa attività prettamente umana.
Dal punto di vista storico, la nascita dell’agricoltura, apparsa circa 10.000 anni fa, ha determinato le condizioni economiche e sociali che hanno permesso alle comunità umane di crescere, specializzarsi, fondare città. All’aumentare della popolazione, è corrisposto un bisogno continuo di superficie da cui trarre risorse alimentari e materiali, per cui la continua necessità del possesso di terra, ha condizionato rapporti politici e sociali.
La contemporaneità fa i conti con un cattivo rapporto instaurato con la terra, decisamente spogliata, da molto tempo, della sua sacralità. Come tutte le risorse indispensabili all’uomo, essa è associata al concetto di “scarsità”: ne consegue una corsa globale all’accaparramento e una elevata difficoltà di accesso per buona parte della popolazione mondiale. “La maggioranza della popolazione globale – circa il 70% - si guadagna infatti da vivere con la produzione di cibo”[2], ma la proprietà della terra subisce un esponenziale accentramento.
Non molto dissimile è la situazione locale. Anche se la maggior parte dei terreni risulta incolta, le grandi proprietà sono una realtà ben radicata, alla quale si contrappone una piccola proprietà estremamente parcellizzata.
Nel Salento, la storia delle relazioni economiche e politiche legate alla terra e all’agricoltura, non è molto dissimile da quella di altri paesi europei, ma presenta alcune peculiarità. Fino a non molti anni fa, la Puglia poteva dirsi una regione prettamente agricola. In provincia di Lecce, intorno agli anni ’50-’60, quando una certa disponibilità economica legata alla coltivazione del tabacco permise anche a mezzadri o coloni di affrancarsi dal lavoro subordinato e acquistare beni propri, alcuni scelsero di investire in immobili, altri in terre, sicuri che quel modello economico sarebbe andato avanti per molto tempo. Purtroppo, dopo pochi anni, l’economia agricola del meridione incassò duri colpi e molti giovani, per scelta o per forza, emigrarono per dedicarsi ad altri mestieri.
Le terre rimasero così un bene inutile, a volte persino gravoso. Inoltre, nella successione ereditaria, questi possedimenti andarono via via frammentandosi, dando vita ad una parcellizzazione estrema che oggi è la caratteristica predominante della struttura rurale salentina. Dunque, assistiamo principalmente a due fenomeni: da una parte, una proprietà terriera molto importante, ancora nelle mani di antiche famiglie nobiliari o di grandi possidenti; dall’altra, una miriade di piccoli appezzamenti nelle mani di più proprietari. In entrambi i casi, la maggior parte di queste terre risulta incolta e facile vittima sacrificale sull’altare della cementificazione e dell’urbanizzazione selvaggia, con tutte le conseguenze ambientali che ciò comporta. Un’analisi del 2016 dimostra come in Puglia la percentuale di consumo di suolo si aggiri tra il 7% e il 9%, la più alta d'Italia.
A dispetto di questo quadro non proprio edificante, negli ultimi anni molti giovani salentini stanno tornando nei paesi di origine, cercando nell’agricoltura la loro strada, come alternativa ad una vita precaria, condotta magari in qualche grande metropoli e poco soddisfacente dal punto di vista economico e della realizzazione personale. La terra diventa così la dimensione possibile in cui stabilire rapporti sociali differenti e realizzare un cambiamento sistemico in campo economico e politico.
“Secondo Antonio Onorati, del Centro Internazionale Crocevia, oggi la concentrazione della terra è più alta che prima della riforma agraria, nel 1948. […] Riaffermare il diritto alla terra, comunque, è cosa ben diversa dal tanto sbandierato ritorno alla terra come opportunità lavorativa per i giovani. I dati ufficiali, infatti, riguardano gli imprenditori agricoli e molto spesso si tratta di passaggi di testimone in famiglia, perché per essere imprenditore agricolo devi avere la terra di proprietà, o in affitto”[3].
Anche per usufruire dei benefici dei vari Piani di Sviluppo Rurale e della Politica Comunitaria Europea, queste condizionali sono spesso cruciali e chiaramente penalizzano chi parte da zero, chi non possiede una terra, chi non possiede capitali per pagare affitti, macchinari e manodopera. Da questo punto di vista, il tema dell’accesso alla terra è quanto mai attuale e scottante.
Nel Salento assistiamo a una rivendicazione implicita del diritto alla terra da parte di alcune realtà che spesso si affidano alla forma contrattuale del “Comodato d’uso gratuito”, stipulato all’interno delle comunità locali con cui intrattengono rapporti più prossimi. Risultati spesso non facili da ottenere. Alla scarsità di terre, si somma infine un secondo problema cruciale: il bassissimo contenuto organico dei terreni. Oggi la terra sta perdendo la sua fertilità; possiamo dire in alcuni casi che stia letteralmente morendo.
In genere, lo strato fertile del terreno è rappresentato dai 30-40 cm superiori, composti da elementi minerali ed organici che le piante sintetizzano per il loro ciclo vitale; con la caduta di frutti e foglie e con la loro decomposizione, apportano poi nuova sostanza organica al terreno, con un ciclo naturale per cui “niente si distrugge ma tutto si trasforma”.
Con l’agricoltura convenzionale, questo ciclo perfetto che assicura fecondità alla terra, viene spezzato, perché la sostanza organica è soltanto sottratta al suolo e non viene quasi mai restituita. L’aspetto da non sottovalutare è che un’agricoltura sana, etica, non è sufficiente che sia bio-logica, ma deve essere soprattutto rigenerativa. Rigenerare vuol dire restituire ciò che si prende, mantenere gli equilibri ecologici, conservare e curare i sistemi antropici che permettono un buon utilizzo delle risorse ambientali.
A questo approccio si contrappone quello dell’agricoltura di rapina, oggi la più diffusa, che può insistere - paradossalmente - anche lì dove vi è una conduzione organica. Biologico, infatti, non è automaticamente sinonimo di etico, ecologico. Una monocoltura intensiva, anche se condotta secondo i dettami dell’agricoltura biologica, non è sostenibile. Inoltre, gran parte dell’emissione di CO2 in atmosfera deriva dalla continua e massiccia lavorazione del terreno. Esso costituisce il secondo serbatoio di carbonio dopo gli oceani e l’aratura libera l’anidride carbonica che il terreno naturalmente fissa. Bisogna dunque essere capaci di distinguere le differenti pratiche agricole e valutarne il reale valore ecologico.
Che fare dunque? Oggi molte realtà salentine lavorano per la rigenerazione della fertilità del suolo, grazie al compostaggio aziendale - effettuato anche con l’utilizzo di lombrichi - e all’utilizzo di microrganismi: Terrarossa, Sante Le Muse, Cantina Supersanum, Salos, Masseria Gianferrante, Fontanelle, Orti di Vita, Staiterraterra, Dei Agre, etc. etc. In particolare, Cantina Supersanum utilizza la tecnica del compost tè, che permette di migliorare la crescita delle piante, la loro resistenza e la microbiologia del suolo. Grazie alla collaborazione con alcuni istituti di ricerca, questa attività viene condotta con il massimo rigore e tali conoscenze vengono scambiate e condivise con gli altri membri della Rete, per diffonderne e sperimentarne l’efficacia su altre colture. Il processo di compostaggio, ha inoltre la capacità di imprigionare la CO2 sottraendola all’atmosfera, invertendo in parte l'effetto delle emissioni causato dall'agricoltura.
Sulla terra e nella terra si gioca dunque una battaglia cruciale per determinare nuovi rapporti e costruire alternative che siano profondamente trasformative della società. Le esperienze salentine non sono dissimili da quelle condotte da altre comunità in altre parti del mondo, e dimostrano come la costruzione di modelli differenti sia una sfida che riguarda l’intera umanità.
Francesca Casaluci
[1] Isha Upanishad
[2] Vandana Shiva, Vacche sacre e mucche pazze, Roma, DeriveApprodi 2001, p. 23
[3] Michela Potito, Roberta Borghesi, Genuino Clandestino, Firenze, Aam Terra Nuova, 2015, p. 106