Il Melo cotogno: l'albero equinoziale dai frutti dorati

 

L’autunno è la stagione dei colori caldi: il giallo, l’ocra, il rosso e l’arancio dominano il paesaggio, mentre le temperature ci preparano all’inverno. Un momento dell'anno che spinge forse più di altri alla contemplazione e all'introspettività. Tra i frutti di questa stagione (cachi, uva, prugne, melagrane, etc.) spiccano le Melecotogne, che sembrano sfere dorate che brillano tra il verde scuro delle loro foglie, riconoscibili nel paesaggio rurale anche in lontananza.

 

 

Il cotogno è un albero antichissimo, già coltivato nel 2000 a.C. dai Babilonesi e non a caso i Greci chiamavano il frutto chrysomelon, ovvero “pomo d’oro”, considerato sacro a Venere. Si credeva che se le spose ne avessero mangiato i frutti, avrebbero partorito figli belli, industriosi e intelligenti.

La Cydonia è un frutto che a causa della sua asprezza e stopposità non può essere consumato crudo, ma solo cotto oppure ammezzito. Per questo è un frutto che si può considerare “culturale”, perché è propriamente legato al processo di trasformazione che l’uomo compie sul cibo per mezzo dell’arte culinaria. Columella indicava metodi infallibili per conservare le cotogne: scelte quelle maturissime, sane e uniformi, raccolte in una giornata asciutta e con luna calante, potevano essere fasciate con foglie di fico, oppure coperte con miele chiarificato o ancora rivestite di argilla.

Il Melocotogno è un albero di modeste dimensioni, molto rustico e diffuso, usato come prezioso portainnesto per molte varietà fruttifere, sebbene non possa essere innestato a sua volta, se non con poche eccezioni. Può essere facilmente propagato per talea.

 

 

I frutti sono così belli e inebrianti, che venivano usati nelle camere e nei cassetti per profumare la biancheria. Le mele cotogne venivano anticamente usate nel Salento anche come "tappo" per le damigiane in cui era posto il vino nuovo: in questo modo venivano allontanati i moscerini e altri insetti dalla preziosa bevanda. Ma l'utilizzo più famoso e amato è di sicuro la marmellata, un tempo un fiore all’occhiello dell’industria dolciaria e della pasticceria salentine; la Cotognata leccese veniva commercializzata in tutta Europa, in cui godeva di grane fama.

La magia di quest’albero si manifesta anche in un antico proverbio, che lo lega al ciclo dell’anno e in particolare a quei particolari momenti che sono gli equinozi, quando la notte e il giorno hanno la stessa durata e ci si avventura verso la bella o la brutta stagione, a seconda che ci si trovi nell’Equinozio di Primavera o in quello d’Autunno. Il detto dice: “Quannu lu cutugnu fiura e quannu matura, lu giurnu cu lla notte se misura”.

Non ci si può sbagliare dunque: se vediamo i rosei fiori sul cotogno, siamo nel tempo dell'Equinozio primaverile, ma se i frutti curvano i rami, siamo certi che l'Equinozio autunnale non è lontano.

I suoi meravigliosi fiori e i suoi inebrianti frutti dorati, offrono il dono di insegnarci il tempo cosmico.

 

Francesca Casaluci