Dolci radici salmastre

di Antonio Caso Il nome della carota deriva dal greco karoton che diversi filologi ricollegano a càro, carne, come a definire l’essere carnoso dell’ortaggio; altri, invece, lo riconducono all’aggettivo krokotos che definiva il colore dello zafferanno, forse in base ad assonanze cromatiche con le prime radici. Si tratta di una pianta originaria dell’area euroasiatica che già gli antichi Egizi (e i Greci) usavano come cicatrizzante e noto era anche il suo impiego come afrodisiaco per curare l’impotenza maschile. Plinio il Vecchio classifica quattro differenti varietà di carote selvatiche (non tutte attualmente classificate come tali), mentre Galeno distingue le carote dalle pastinache e riporta la notizia di vere e proprie coltivazioni delle prime a scopo medico. Saranno gli Arabi i primi ad impiegarle in cucina importandole dalla Spagna e poi Caterina de’ Medici la prima, in Europa, ad elevarle ad alimenti protagonisti delle tavole nobiliari. Va anche detto, infatti, che il sapore della carota, secondo le fonti antiche, pare fosse piuttosto aspro anche se incline al dolce, una caratteristica che i contadini, attraverso innesti sarebbero riusciti ad accentuare fino al livello che possiamo apprezzare oggi. Anche nei ricettari medievali infatti, le carote appaiono solo come ingredienti eccellenti per esaltare le tonalità cromatiche dei piatti e per abbellirli, un uso decorativo dato, soprattutto, dal colore della carota che, in verità, era ben diverso dall’arancione. In origine, infatti, le carote erano tra il porpora ed il viola oppure gialle come si può desumere anche dai dipinti di Pieter Aertsen e Nicolaes Maes del XVI secolo che raffigurano scene di mercati. Costanzo Felici, sempre nel Cinquecento parla esclusivamente di carote dal “colore vermiglio”, mentre solo dal secolo successivo, Giacomo Castelvetro avrebbe parlato di carote “rosse e gialle”, segno di un tendente schiarimento della radice. Sarebbe stato proprio nel XVII secolo, però, in Olanda, forse per rendere onore alla dinastia degli Orange, che alcuni contadini selezionarono volutamente le carote arancioni che, grazie agli innesti, avevano anche un gusto più dolce e delicato rispetto alla carota originaria; una scelta che sarebbe stata poi apprezzata in tutta Europa. Anche attualmente, però, continuano ad esistere oltre alla classica carota arancione quella viola, gialla e bianca anche se quest’ultima non si tratta di una vera e propria carota, ma della pastinaca, una radice della stessa famiglia delle verze. Particolarmente interessanti sono le proprietà organolettiche di questo ortaggio ricco di vitamine A ed E e dalle capacità cicatrizzanti ed antisettiche. È noto, inoltre, che aiuti a regolarizzare le funzioni intestinali e sia utile ad arricchire il latte materno grazie al contenuto di vitamine e sali minerali. Il succo di carota, inoltre, è ricchissimo di carotene, una provitamina che viene trasformata in vitamina A una volta assimilata, ma anche di vitamina B e C, a patto che venga consumato crudo dato che la cottura modifica queste proprietà. La carota possiede anche ottime proprietà cosmetiche: l’estratto della radice, infatti, migliora lo stato di pelli secche e screpolate e protegge, grazie alle proprietà idratanti ed elasticizzanti, dai raggi UV. Tre sono le varietà di carote coltivate in Puglia di cui parleremo, partendo dalla regina che si trova a Polignano a Mare. Qui, infatti, tra masserie, muretti a secco, pozzi di pietra ed uliveti vale la pena distogliere un secondo lo sguardo dal mare e dalle meravigliose spelonche sottomarine per rivolgerlo pochi metri più in là verso l’entroterra, nella frazione di San Vito dove una tradizione centenaria si concretizza nella coltivazione della carota di Polignano, un ecotipo coltivato, appunto, nella frazione di San Vito, in un’area compresa fra 10 e 20 ettari. La sua lunghezza varia dai 15 ai 25 cm con un diametro che può arrivare fino a 5 cm, ma ciò che più la contraddistingue è il colore esterno della radice: dal giallo pallido al viola più intenso. Viene seminata alla fine dell’estate, mentre la raccolta avviene tra dicembre e marzo ed ogni fase segue dettami dell’agricoltura tradizionale poiché i semi vengono autoprodotti annualmente dai contadini che individuano le piante più sane preservando sempre le diverse sfumature cromatiche. I campi sono tendenzialmente sabbiosi e, trovandosi a pochi metri dal mare, vengono irrigati con acqua salmastra pompata da un pozzo in pietra dell’Ottocento dalla profondità di circa 12 metri. Quando c’è la bassa marea, invece, si usano piccoli bacini interrati, una volte azionati grazie all’aiuto degli asini. La raccolta viene eseguita manualmente o con l’ausilio di un forcone anche perché la conformazione particolarmente irregolare delle carote rende praticamente impossibile la raccolta a mezzo meccanico; la radice viene, quindi, collocata in cassette di legno con la stessa acqua salmastra con cui viene irrigata per ripulirla dalle impurità. La carota di Polignano si contraddistingue per una minore quantità di zuccheri (mediamente glucosio, fruttosio e saccarosio inferiori di circa il 22% rispetto alla carota classica) seguendo forse quel principio che abbiamo enunciato prima per cui la carota comune arancione sia stata ottenuta ricercando proprio la maggiore dolcezza. In verità, però, l’indice di dolcezza relativa, cioè la percezione del dolce al palato, è molto simile rispetto a quello delle carote comuni e questa condizione potrebbe favorire il consumo da parte di soggetti che seguono diete ipoglicemiche La carota di Polignano, peraltro, gode del fatto che le proprietà antiossidanti della radice siano decisamente superiori nelle carote di colore viola (fino a quattro volte rispetto alle carote comuni). Essa può essere consumata cruda o cotta in previsione anche della produzione di confetture che possano ampliare il raggio di mercato della varietà e, di conseguenza, l’interesse. I produttori di carote si sono riuniti nell’associazione “La bastinaca di San Vito”, (un appellativo che ricorda tantissimo la “pastinaca” citata precedentemente e che ritroveremo tra poco, ma che in realtà in Puglia indica semplicemente il termine dialettale per la carota e non la pastinaca come altro ortaggio) per far conoscere ed incentivare la coltivazione di una delle tradizioni più importanti di questo territorio. La carota di Polignano è attualmente presidio Slow Food e fa parte dell’elenco nazionale ,stilato dal Ministero, dei prodotti agroalimentari tradizionali pugliesi. Ora, però, è tempo di muoverci a sud, in pieno Salento, fra Tiggiano, Tricase e Specchia in provincia di Lecce. Qui viene coltivato un altro ecotipo: la “pastanaca ti santu pati”, o meglio la carota di Sant’Ippazio, patrono della città, nota anche come “carota giallo-viola di Tiggiano”, anch’essa inserita nell’elenco nazionali dei prodotti tradizionali pugliesi. Più grossa rispetto alla carota di Polignano, la sua colorazione è solitamente bianca-giallastra, ma screziata di viola e la sua consistenza particolarmente croccante. Viene venduta in occasione della locale fiera di Sant’Ippazio il 19 di gennaio, ma è legata anche alla festa della Candelora di Specchia e di San Biagio a Corsano, tutte ricorrenze propiziatorie della fertilità della terra. Anch’essa, così come la carota di Polignano, possiede grandi proprietà antiossidanti. Un ecotipo simile viene coltivato anche in Calabria, la “prestinaca” del promontorio del Poro, spesso consumata bollita con aceto. Un’ultima deviazione ci porta, quindi, sul Gargano dove negli arenili dell’agro di Zapponeta si coltiva una varietà di carota chiamata, stranamente “pastnoc”, la carota di Zapponeta che nella variante locale “Imperatore” si contraddistingue per la grande quantità di zuccheri e l’elevata digeribilità. Dal Gargano alle coste di Polignano fino al Salento vale, evidentemente, la pena spostare un attimo lo sguardo dal mare, ora fonte di ricchezza soprattutto per la sua bellezza, per notare come, in realtà, la ricchezza del mare si estende anche al di là dei riflessi dorati. Acqua salmastra arriva fino nell’entroterra e dà vita a tradizioni secolari di radici gialle, vermiglie e violacee che meritano di essere ancora ed ulteriormente coltivate. http://cosmopolismedia.it/categoria/99-saperi-spaori/11440-dolci-radici-salmastre.html