Un sapore antichissimo tra le Fonti di Acquaviva

La cipolla è originaria dell’Asia, in particolare della zona tra l’Afghanistan e l’Iran e la sua storia inizia già nella primissima antichità. Il termine deriva dal latino “cepulla” per “caepulla” diminutivo di “caepa” o “cepa” da una radice kap da cui deriverebbe anche il verbo “capere”, “prendere” in latino forse a causa della sua precoce grande diffusione come ortaggio prima da raccolta e poi da coltivazione. Dagli insediamenti cananei dell’età del bronzo, infatti, intorno al 5000 a.C., sono emersi resti di questo ortaggio accanto a semi di fico e di dattero anche se non è chiaro se venisse già all’epoca coltivata o semplicemente raccolta.

La coltivazione potrebbe aver avuto inizio, però, intorno al 3000 a.C. in Egitto assieme al porro e all’aglio tanto che, a giudicare dai resti archeologici, pare che la cipolla facesse parte, assieme ai ravanelli, della dieta degli schiavi addetti alla costruzione delle piramidi. Il popolo del Nilo collegava l’ortaggio direttamente con l’aldilà per il suo forte aroma che, credevano, ridonasse respiro ai morti e alla forma sferica e la polpa ad anelli concentrici che erano associati alla vita eterna tanto che dei resti furono ritrovati anche nelle orbite di Ramses II. Rappresentata anche negli affreschi funerari, era uso mettere una cipolla tra le mani dei defunti come lasciapassare per il Regno dei Morti e veniva evocata anche a testimonianza di un giuramento. I sacerdoti, però, si astenevano dal mangiarle dato che, come ci ricorda Plutarco, provocava sete nei periodi di digiuno e lacrimazioni durante le cerimonie. Il trasporto e soprattutto la grande capacità di conservazione della cipolla ne favorirono lo scambio commerciale.

Pare che furono i Fenici ad introdurla in Calabria in una varietà che sarebbe poi rimasta, apprezzata nel medioevo e diffusa in tutta il mondo a partire dal periodo borbonico: la cipolla di Tropea. Gli antichi Greci, invece, la posero sotto il dominio di Ares e pare che tra le varietà coltivate, particolarmente apprezzate fossero quelle di Megara. Era uno dei cibi prediletti dagli atleti poiché si credeva che rendessero il sangue più leggero ed Alessandro Magno l’avrebbe somministrata ai suoi soldati per aumentarne il valore. Una curiosità: pare comunque fosse proibito entrare nel tempio di Cibele dopo aver mangiato cipolla a causa del suo forte aroma.

A Roma i gladiatori la usavano per rassodare i muscoli strofinandosela addosso, ma il contributo più grande per l’epoca venne dagli studi in principio di Galeno e poi di Dioscoride che segnalarono la varietà bianca più idonea come alimento, mentre quella rossa come farmaco ritenendo il coloro purpureo segno di una più intensa efficacia curativa in particolar modo nei confronti dell’apparato digerente e del sistema cardiocircolatorio. Il suo uso terapeutico è attestato anche nel medioevo durante il quale era usata come analgesico contro il mal di testa, ma anche come anticalvizie ed antidoto contro il veleno dei serpenti. Divenne così importante anche per l’uso alimentare che veniva usata come dono o per pagare gli affitti.

Se nell’esegesi biblica la cipolla era il simbolo del dolore causato dal peccato e di falsità, i contadini, secondo le credenze popolari, le consultavano per sapere se l’inverno sarebbe stato freddo (buccia spessa) o mite (buccia sottile). Durante il XV ed il XVI secolo la cipolla acquisì la grande fama di cibo afrodisiaco legato alla fertilità ed al ciclo lunare (si credeva che le cipolle crescessero e decrescessero al contrario rispetto alle fasi della luna), ma non si placa il suo uso medico contro tossi, bronchiti e punture d’insetto. Introdotta ad Haiti da Colombo nel 1493, a partire dal XVI secolo fu ritenuta anche un valido aiuto contro l’infertilità femminile, mentre in Cina il tè a base di cipolla è stato a lungo prescritto contro la febbre, la dissenteria ed il colera. Nel 1961, il premio Nobel per la chimica Artturi Virtanem ha scoperto il segreto della lacrimazione provocata dalla cipolla che sarebbe legata ad alcune molecole chimiche a base di zolfo sprigionate quando viene lesionata come difesa contro funghi, virus e batteri.

Tra i numerosi territori in cui viene coltivato questo ortaggio, nella nostra terra ne è presente una varietà unica: la cipolla rossa di Acquaviva. La cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti è conosciuta, oltre che per la sua classica forma piatta, per la sua grande dolcezza. Spessa fino a 6-7 centimetri, può arrivare a pesare fino a mezzo chilo e guardandola dall’esterno parte da sfumature tra il carminio e violaceo fino al cuore completamente bianco. Nella Storia della Chiesa Palatina di Acquaviva delle Fonti dal 1779 al 1875 si legge: « Il suolo è fertilissimo in olio, grano, anice, comino, mandorle, biade e legumi. Vuolsi notare che fra i ricolti, onde maggiormente si avvantaggia la classe agricola è quello delle cipolle, ricercatissime anche da lontane regioni, essendo prodotto speciale di una parte di questo suolo, che le rende preferibili a quante ne producono altri terreni.» Essa è una preziosa testimonianza della vocazione agricola del piccolo centro pugliese. Il nome di Acquaviva delle Fonti, infatti, è legato alla gran disponibilità di acqua dolce che sgorga tuttora purissima da una perenne falda sotterranea. La sua coltivazione, da buon presidio Slow Food, avviene in modo naturale e nel pieno rispetto della tradizione antica. Seminata a settembre viene raccolta dai primi giorni di luglio fino ad agosto dai circa 80 produttori del territorio acquavivese. Ne deriva che la resa del terreno è inferiore rispetto alla media nazionale, ma la ragione sta nel minimo degli interventi di tipo chimico con sarchiature e scerbature a togliere i filari molto frequenti, ma questo non ha affatto scalfito il valore che quest’ortaggio ha nel suo territorio che già a partire dall’800 era apprezzato e scambiato anche sui mercati extra-regionali. Ogni anno, infatti, a luglio si celebra la “Festa della cipolla rossa di Acquaviva” e ad ottobre la “Sagra del Calzone”, un prodotto tipico di questa terra con ripieno di cipolla di Acquaviva, uova, pecorino e ricotta forte, un formaggio cremoso, acidulo e piccante che si ottiene dalla stagionatura della ricotta tenuta per mesi in vasi di terracotta.

La cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti è particolarmente ricca di flavonoidi, grandi antiossidanti che aiutano a contrastare l’azione dei radicali liberi, mentre i suoi composto solforati aiutano a prevenire l’arteriosclerosi ed abbassano la pressione sanguigna ed il colesterolo oltre ad avere proprietà antifungine e antibatteriche. Recentemente, attraverso l’attività del Consorzio di promozione, tutela e valorizzazione delle Qualità Tipica di Puglia che riunisce i produttori, la cipolla di Acquaviva ha raggiunto anche alcuni scaffali della grande distribuzione con una collaborazione con la cooperativa Vivafrutta OP. Una realtà quella acquavivese, che per un’originale varietà di un ortaggio così diffuso a livello industriale ha saputo ritrovarsi e ci ricorda che la sfida dei prossimi anni del nostro territorio deve essere quella di aiutare a creare fonti economiche, mantenendo la tradizione e la bellezza di coltivazioni di varietà così particolari. Il prodotto rimane comunque originale, ancorato al territorio e coltivato come si soleva fare anticamente. Un sapore antichissimo che continua, ogni anno, a rinascere tra le fonti di Acquaviva.

 

Antonio Caso