Il frutto degli dei
di Antonio Caso
La melagrana (frutto dell’albero del melograno) è un frutto originario dell’Asia sud – occidentale, in particolare di una regione geografica che, partendo dall’Iran, si inoltra fino alle cime himalayane dell’India settentrionale. Furono i Fenici a diffonderlo nel Mediterraneo e da allora ha qui piantato le sue radici, diventando un simbolo dell’intero bacino; nell’Egitto antico, pare che il succo venisse aggiunto alla birra per trasformarla in una bevanda salvifica. Solo nel 1769 fu introdotto in America latina dagli Spagnoli e tuttora viene ampiamente coltivato in Messico e nelle zona calde come la California e l’Arizona negli Stati Uniti. Il suo nome scientifico “Punica granatum” deriva dal nome romano dell’area costiera della Tunisia abitata proprio dai Punici, ovvero i Cartaginesi, popolo di Annibale, poiché furono loro i primi a portarlo a Roma. Il nome “melagrana”, invece, deriva dai termini latini malum granatum e vuol dire letteralmente “mela coi semi” così come avviene anche in inglese (Pomegranate) ed in tedesco (Granatpfel). È interessante il fatto che in antico inglese il frutto fosse chiamato con l’appellativo di “apple of Grenada”. La città andalusa, infatti, ha il frutto nel suo stesso stemma ed il suo stesso nome, in spagnolo, significa, appunto, melagrana, portato dai Mori nel periodo della loro dominazione nella penisola iberica. Un altro nome della melagrana ha la radice che deriva dall’antico egizio rmn da cui deriva anche l’ebraico rimmôn e l’arabo rummân che hanno dato origine anche ai termini moderni portoghesi, romã e maltesi rummien.
La sua coltivazione ed il suo consumo dall’Armenia ad Israele fino all’Afghanistan è documentata archeologicamente da ritrovamenti di diversi millenni fa di residui di semi e bucce e la sua origine himalayana gli permette di resistere anche agevolmente a temperature piuttosto fredde per le altre piante mediterranee quantificabili intorno ai -10 gradi centigradi. Nell’antica Grecia, il mito della melagrana vi giunse dall’Oriente assieme a divinità mesopotamiche come Ishtar o anatoliche come Cibele, ma divenne uno dei frutti più importanti tanto da essere protagonista di uno tra i più rinomati miti del popolo ellenico, quello di Persefone. Persefone, figlia di Demetra e Zeus (o di Zeus e Stige, dea omonima del fiume che sgorga nell’oltretomba secondo un’altra versione) venne rapita dallo zio Ade, che la condusse negli inferi per sposarla contro la sua volontà. È proprio la melagrana ad ingannare Persefone che, priva di ogni appetito, mangiò solo sei semi del frutto non sapendo, però, che chi mangiava un frutto degli inferi, era destinato a rimanervi.
Si rallegrò la saggia Persefone, e balzò subito in piedi, colma di gioia, egli tuttavia le diede da mangiare il seme di melograno dolce come il miele furtivamente guardandosi attorno affinché ella non rimanesse per sempre lassù con la veneranda Demetra dallo scuro peplo. Si legge nell’inno omerico a Demetra (versi 370-374). La madre, Demetra, dea delle messi, dell’agricoltura e della fertilità, appresa la notizia, impedì la crescita del grano scatenando un inverno senza fine. Fu Zeus a intervenire ed affermando che la figlia avesse mangiato solo sei semi e non un intero frutto, stipulò un accordo per cui Persefone sarebbe rimasta negli inferi per un mese ogni seme di melagrana da lei mangiato e avrebbe trascorso il resto dell’anno con la madre. Fu così che Demetra ancora oggi festeggia ed accoglie con gioia il ritorno della figlia, facendo rifiorire la natura in Primavera e crescere le spighe, d’Estate. Dalle numerose statuette rinvenute sembra attendibile attestare il punto in cui Persefone ritornava sulla terra presso i prati di Vibo Valentia, rinomati per la loro bellezza e la cosa non stupisce dato che la dea era veneratissima in Magna Grecia. Secondo una versione minoritaria del racconto è Persefone a mangiare volontariamente i semi perché si era ormai affezionata ad Ade. Il mito riprende un episodio della mitologia mesopotamica in cui Dumuzi (divinità della vegetazione) deve giacere per sei mesi con Inanna (dea dell’amore, della guerra e della fertilità) “sulla terra” e per sei mesi negli Inferi con la sua sorella oscura, Ereshkigal (dea del letargo invernale). Anche Era, la regina degli dei, moglie di Zeus era spesso ritratta come una figura maestosa, seduta sul trono e con in mano una melagrana, simbolo di fertilità, morte e rigenerazione (associato anche, per la sua somiglianza, al papavero da oppio). Una testimonianza è presente anche in una statua descritta da Pausania ad Argo (Guida alla Grecia, libro II, 17,4). Anche attualmente, la melagrana è uno degli elementi principali di una delle ricorrenze più importanti della Chiesa ortodossa greca, la Presentazione di Maria (i cattolici la considerano una memoria, ma non una festività), che ricorda l’ingresso di Maria nel Tempio all’età di un anno accompagnata dai genitori Anna e Gioacchino. L’avvenimento viene ricordato dai uno dei Vangeli apocrifi, il Protovangelo di Giacomo (VI, verso 2): «Il sacerdote l’accolse e, baciata, la benedisse esclamando: “Il Signore ha magnificato il tuo nome in tutte le generazioni. Nell’ultimo giorno, il Signore manifesterà in te ai figli di Israele la sua redenzione”». La ricorrenza viene celebrata il 21 novembre, data della consacrazione della Basilica di Santa Maria Nova nella città di Gerusalemme, voluta da Giustiniano. Per celebrare l’evento, si prepara la tavola della polysporia con offerte di cibi e frutti simboli di fertilità tra i quali uno dei protagonisti è proprio la melagrana. Pare, inoltre, che sia simbolo di abbondanza, fertilità e buona sorte porre come primo dono presso l’Iconostasi (l’altare domestico), una melagrana in ogni nuova casa.
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