E' oro quello che luccica
di Antonio Caso Il termine “limone” deriva dalla parola persiana līmū che indicava, genericamente, gli agrumi, ma malgrado questa denominazione sia arrivata fino a noi, non è la terra dello Scià la patria del frutto il cui profumo inebria ogni angolo del Mediterraneo. La zona d’origine del limone non appare, infatti, ben definita, ma la si può ricondurre ad un’area compresa tra la regione dell’Assam, a nord est dell’India, la parte settentrionale del Myanmar e la provincia cinese dello Yunnan dove era conosciuto fin dal 2000 a.C. Pare che gli antichi Egizi lo utilizzassero per imbalsamare le mummie e spesso lo riponessero nelle tombe con datteri e fichi. Solo dopo, attorno al V secolo a.C., sarebbe apparso, invece, in Grecia e in Media, l’antica Persia, come “mela di Media” e la sua coltivazione sarebbe stata portata avanti nei secoli come testimoniano le descrizioni, le prime, dell’uso del frutto a scopo terapeutico di Teofrasto, allievo di Aristotele. Era costume degli Ellenici, inoltre, coltivare gli alberi di limone vicino agli ulivi per preservare questi ultimi da attacchi parassitari. Gli scavi del 1951 che hanno riportato alla luce gli affreschi della “Casa del frutteto” a Pompei fanno presupporre che fosse conosciuto anche in ambiente romano come testimonierebbero anche dei mosaici ritrovati a Cartagine e presso la Villa del Casale di Piazza Armerina che, però, potrebbero raffigurare anche limoni “cedrati”, un frutto antenato del cedro più che del limone. Del frutto, però, parlano anche diverse fonti letterarie dell’epoca: Plinio il Vecchio, ad esempio, pare menzionarlo nella sua Naturalis Historia, probabilmente trapiantato ed acclimatato in Campania, mentre Virgilio lo descrive come “mela di Media” indicandolo anche come antidoto contro i veleni. Pare, inoltre, che l’imperatore Nerone fosse un assiduo consumatore dei limoni, ossessionato dalla paura di un suo possibile avvelenamento. Per apprezzarne l’uso alimentare oltre che quello terapeutico, però, bisognerà attendere l’anno 1000 quando gli Arabi lo diffusero insieme con altri agrumi provenienti dai territori mediorientali (malgrado loro stessi li avessero inizialmente utilizzati come piante ornamentali) come appare descritto nelle opere di X e XII secolo di Qustus al-Rumi e Ibn Jami’. Nel sud Italia, quello che sarebbe diventato uno dei suoi simboli fu portato da crociati e pellegrini di ritorno dalla Terrasanta tra l’XI ed il XII secolo con la primissima coltivazione in Sicilia che si sarebbe, però, pienamente sviluppata solo nel XVII secolo ad opera dei padri Gesuiti. Sempre nel XV secolo fu introdotto sull’isola di Hispaniola, l’attuale Haiti, da Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio del 1493 e da qui si sarebbe diffuso nei vari paesi americani nel corso del secolo successivo, mentre attorno alla metà del 1600 fu poi trapiantato in Sud Africa dagli olandesi ed attorno alla fine del XVIII secolo in Australia dagli inglesi. Nel 1747 il medico scozzese James Lind ne consigliò l’utilizzo come rimedio contro lo scorbuto proprio grazie alla massiccia presenza di vitamina C. Una specie unica viene coltivata anche in Puglia, sul Gargano il limone “Femminello”. Come precedentemente scritto riguardo alle arance di questa terra, gli agrumi rappresentano l’identità stessa di alcuni centri di questo territorio tra i quali, per la coltivazione dei limoni, spicca Rodi. Il nome, “Femminello” è dovuto all’alta produttività della pianta che può arrivare a 5 fioriture l’anno e la sua storia va di pari passo con quella della terra da cui trae nutrimento. Esso, infatti, è la varietà di limone più antica d’Italia. Del finire del ‘600 è la preziosa testimonianza di frate Filippo Bernardi di un Gargano in cui si distinguono Vico e Rodi pieni di "agrumi che rende i paesani ricchi per il continuo traffico che vi fanno i Veneziani e gli Schiavoni i quali vengono a caricare vini, arance, limoni …; a Rodi si può dire che vi sia una tirata di giardini per la qualità di aranci e limoni che vi sono piante così sterminate che sembrano anzi querce che agrumi". La testimonianza più antica dei dati di produzione del Limone “Femminello” del Gargano è presente nella “Statistica del Reame di Napoli del 1811” di Vincenzo Ricchioni che, a proposito dell’intera produzione agrumaria (comprese le arance), ne stima il valore in 100 mila ducati. Sempre dalle statistiche si evince, inoltre, che oltre la metà della produzione era destinata all’esportazione anche verso Canada e Stati Uniti. Dal 2007 è anche prodotto a marchio IGP ed in virtù di ciò non può essere portato a maturazione con tecniche artificiali. Si caratterizza oltre che per la forma sferoidale o ellittica, soprattutto per la tenerezza della scorza, l’alta percentuale di succo e, per niente trascurabile, un elevato tasso di vitamina C. La varietà “a scorza gentile” (lustrino) ha la buccia particolarmente liscia e sottile di color giallo chiaro e dal peso generalmente non inferiore 80 grammi, mentre quella “oblunga” (fusillo) ha la buccia di spessore medio ed è caratterizzato anche da un giallo intenso e da un peso superiore, non inferiore ai 100 grammi. All’interno della zona dei “Giardini”, ovvero il territorio interessato dalla produzione di agrumi, i limoneti occupano la fascia più vicina alla costa. La forma che viene data all’albero è quella tipica di questa zona, ovvero una semisfera schiacciata, localmente denominata “cupola squarciata”. La produzione di limoni, inoltre, non deve superare mai le 35 tonnellate per ettaro. Una bandiera importante quella che svetta dai limoneti del Gargano. Unica terra della costa adriatica a possederli, sembra impreziosire di un unico profumo, simbolo del Mediterraneo, le tendenze spagnoleggianti ed orientali della Puglia e la unisce ad altri territori del nostro Meridione come la Costiera Amalfitana e la Sicilia di Messina e Siracusa. Fondamentale, quindi, è mantenere viva e produttiva la tradizione degli agrumi del Gargano e non solo come risorsa economica, agroalimentare e turistica, della Puglia, ma anche come testimonianza di come questa terra abbia saputo e sappia rielaborare atmosfere del bacino di Levante (si pensi alla tradizionale produzione mediorientale) e di Ponente per farle proprie oltre che come simbolo della regione orientale di un giardino che sempre più deve profumare di limoni. http://cosmopolismedia.it/categoria/9-cultura/10823-e-oro-quello-che-luccica.html