Sagra della Scèblasti 2015: diario di bordo
Zollino ci accoglie ogni volta come se fossimo a casa. Anche in questa occasione abbiamo potuto percepire tutto il calore e l’ospitalità di questa comunità di lingua grika: non solo il calore delle facce e dei sorrisi, ma anche quello che si sprigiona dal pane appena sfornato, cotto nel forno a legna. Scèblasti è il nome di questo pane legato a doppio giro all’identità dei zollinesi. Scèblasti vuol dire “senza forma”: nomen omen che descrive l’aspetto di un pane schiacciato, umido e aromatico, che si preparava tradizionalmente con la pasta avanzata dalla “cotta”. Questa veniva inumidita e ravvivata con acqua e poi mischiata a pezzi di pomodoro, cipolla, olive, capperi, e “cucuzza” ovvero la tradizionale zucchina genovese (una varietà di zucchina molto chiara, ingrossata ai lati, gialla e pastosa). Il pane, più di tutti gli altri alimenti, è simbolo di civiltà, che distingue e separa il selvaggio dal civilizzato. Esso rappresenta l’atto agricolo dell’uomo stanziale, che controlla le proprie fonti di sostentamento e lo contrappone al nomade cacciatore e raccoglitore, “schiavo” delle circostanze che determinano la sopravvivenza. Il pane rappresenta la potenza dell’uomo che crea e che controlla la Natura. Il pane raffigura anche l’emblema della cucina, di un atto di manipolazione del cibo che è prettamente e unicamente umano e segna la distanza tra natura e cultura. Il crudo è per gli animali, il cotto è per gli uomini: soltanto essi accendono un fuoco e lo usano per cucinare. Il pane, nelle sue fasi di preparazione e consumazione, è convivio, ovvero “cum vivere”: rappresentazione della natura collettiva della società umana, regolata da norme specifiche. Così come il rifiuto della cucina è rifiuto della civiltà, allo stesso modo il mangiar soli, il sottrarsi al convivio, è rifiuto della dimensione sociale. Nei miti greci, il fuoco apparteneva agli dei, finché Prometeo osò rubarlo, pagando poi questo affronto con una pena destinata a ripetersi per l’eternità. Prometeo dunque, che è “colui che guarda avanti”, immette nella storia un elemento che è di natura divina e che permette all’uomo di emanciparsi dalla ferinità. Il pane è cibo da “cristiani”: il pane è esso stesso civiltà. Nei giorni in cui a Zollino si festeggia la scèblasti, si celebra immancabilmente anche la socialità, la convivialità. Il pane diventa un rito collettivo che si prepara insieme e si consuma insieme, dividendolo con il vicino, offrendolo prima ai bambini. Così la scèblasti la vedi nascere, crescere e cambiare colore nel forno; vedi il fuoco e le fascine diventare cenere nel sacrificio della cottura; senti il calore e il profumo profondo; vedi mani che si passano ingredienti e arnesi e che fanno ciascuna una cosa, ma è una cosa che ha senso solo in rapporto con le altre, e che alla fine si fa bene solo insieme. Ecco cos’è fare il pane: è cantare una canzone collettiva al cielo, al fuoco e alla terra; è ripetere un gesto che è un rito e che sa di buono, perché niente toglie la fame come il pane e per questo niente è più importante. A Zollino, to kalò fai è tutto questo: è il buon cibo che non sfama solo la pancia.