L'impianto di fitodepurazione di Melendugno: una best practice europea
Un impianto innovativo 1° in Italia come bacino palustre naturale per la depurazione delle acque reflue
L’acqua, come ogni risorsa presente sul nostro Pianeta, ha un ciclo di vita caratterizzato da un inizio ed una fine. In questo momento storico il tema del risparmio idrico e della gestione delle acque, è diventato estremamente importante anche a causa della situazione in cui versa il nostro Paese, colpito da una lunga siccità che ha raggiunto proporzioni drammatiche.
Una delle tante fonti idriche che necessitano di trattamenti innovativi, che ne migliorino la qualità e dunque la re-immissione nel ciclo naturale, è quella delle acque reflue, ovvero di tutte quelle acque che in seguito al loro utilizzo in ambito domestico o industriale, necessitano di un trattamento di depurazione prima di poter essere reimmesse nell'ambiente o riutilizzate.
Un esempio di gestione all’avanguardia dal punto di vista ambientale, viene proprio dalla provincia di Lecce e precisamente da Melendugno, dove è attivo un impianto di fitodepurazione tra i più grandi d’Italia, con i suoi circa 8 ettari di estensione, 5 ettari di specchi d’acqua e sei vasche di depurazione.
La fitodepurazione è un processo che sfrutta la naturale capacità delle piante (phitos in greco) di depurare l’acqua, abbattendo il carico organico, riproducendo ciò che avviene nelle zone umide naturali, ossia in ecosistemi ad elevata produttività biologica.
L’impianto di fitodepurazione di Melendugno, è nato nel 2010 come progetto sperimentale dell’Acquedotto Pugliese, realizzato mediante un investimento di 2,2 milioni di Euro di fondi regionali. L’amministrazione regionale ha inoltre da subito stipulato una convenzione con Legambiente Puglia, per assicurare le attività di monitoraggio dell’impianto con l’obiettivo di comprendere il ruolo ecologico delle aree umide artificiali.
Un progetto pilota 1° in Italia come bacino palustre riprodotto artificialmente e tra i primi in Europa, che oramai potrebbe essere considerato a tutti gli effetti una best practice consolidata, da replicare anche in altri comuni. L'impianto soddisfa l’esigenza dello smaltimento e della depurazione delle acque reflue dei comuni di Calimera, Martignano e Melendugno, attuando una riqualificazione ambientale e allo stesso tempo anche ecologica e paesaggistica: infatti, in 13 anni di attività, questo fitodepuratore ha consentito il ripristino di una Zona Umida in un territorio a rischio desertificazione.
La fitodepurazione rappresenta un’alternativa ai trattamenti di depurazione tradizionali con vantaggi multipli: un minor impatto sul paesaggio, l’eliminazione di trattamenti di disinfezione e dei loro sottoprodotti, un risparmio d’energia elettrica e limitati costi di gestione. Nel 2011 il progetto è risultato vincitore del premio promosso dal Forum Nazionale per il Risparmio e la Conservazione della Risorsa Idrica.
Le piante che compiono la depurazione sono specie come la Cannuccia di Palude (Phragmites australis), la Le Stiance o Mazzasorda (Typha latifolia), il Giunco palustre, la Lenticchia d’acqua, la Ninfea bianca. Esse si trovano a valle di un sistema complesso in cui vengono innescate una serie di reazioni chimiche, fisiche e biologiche attraverso un Trattamento primario e un Trattamento secondario delle acque, con l’obiettivo di ripulire gradualmente le acque da sostanze solide, grasse e oleose, organiche etc.
Oggi il 50% delle zone umide nel mondo sta svanendo e con esse la loro capacità di termoregolazione e la loro funzione ecologica come habitat per importanti specie vegetali e animali.
L’impianto di Melendugno è dunque un fiore all’occhiello della gestione idrica delle acque reflue dei comuni. Una domanda sorge spontanea: data la funzionalità e l’utilità del progetto, i suoi bassi costi di realizzazione e gestione, come mai dal 2010 non è stato replicato anche in altri comuni? Sarebbe auspicabile un tavolo concertato tra Regione, amministrazioni locali e Acquedotto pugliese per rendere modelli come questo meno “esemplari” e sempre più diffusi come buone prassi di gestione del territorio.
Francesca Casaluci